Ti siedi davanti al camino e guardi il fuoco.
Non succederà nulla di speciale, lo sai, le fiamme continueranno ad agitarsi e la legna a crepitare, ecco tutto, eppure tu ne sei attratto. Non puoi fare a meno di guardarlo. Forse è qualcosa di atavico. I nostri antenati si mettevano attorno al fuoco e, dopo una giornata di pericoli, si godevano il semplice fatto di essere ancora al mondo, si godevano quella manifestazione di pura energia: simbolo di tutto ciò che vive.
Il vulcano, una montagna con dentro il fuoco, ha lo stesso potere.
Attrae senza un perché evidente. È insieme minaccia fisica e promessa estetica: potrebbe distruggere o dare spettacolo o entrambe le cose. Questo è senz’altro uno dei motivi per cui attorno a Ranieri si radunano creativi di varie specie. Designer, artisti, musicisti, fotografi, scrittori. Tutti seduti attorno al fuoco nella notte.
La lava condivide la natura della creatività. Esce da abissi oscuri, difficile prevedere quando e perché, all’inizio è informe ma può assumere ogni forma immaginabile, per domarla e modellarla servono tecnica e studio. In questo senso Ranieri non produce solo manufatti di lava, è esso stesso fatto di lava. Più che dominare la creatività, la asseconda, la lascia eruttare e raffreddarsi in sterminate concrezioni.
Il termine factory si riferisce sia all’officina artistica sia alla fabbrica in senso stretto. E in effetti Ranieri si è assunto la doppia missione contenuta nella polisemia del vocabolo. Fabbricare tavoli e pavimenti, certo, ma anche, più in generale, fabbricare bellezza.
La bellezza è in essenza fragile, minacciata, destinata a soccombere. Gli immortali non fanno poesia. La bellezza è la protesta della vita di fronte allo strapotere della morte. Ogni artista ha ben chiara la percezione di vivere sotto un vulcano, generatore di terrore e di meraviglia. Per questo ogni artista è in potenza un membro della Factory di Ranieri.
Quello che di volta in volta uscirà dalla Lava Factory è imprevedibile: dipende dal genio della lava.